Le difese psicologiche: un approfondimento sui meccanismi che proteggono o distruggono la salute mentale
Mentire a noi stessi è più profondamente radicato che mentire agli altri.
(Dostoevskij)
Le difese psicologiche sono quei meccanismi che la mente utilizza, tendenzialmente in modo automatico e inconsapevole, per difendersi dal dolore e dall’angoscia.
Nel precedente articolo sulle difese psicologiche abbiamo visto come abbiano ruolo fondamentale nel tutelare o compromettere la salute mentale. Abbiamo affrontato nel dettaglio scissione, diniego, rimozione, spostamento, proiezione identificazione proiettiva, dissociazione e umorismo.
Vediamo ora altri meccanismi molto comuni, differenziando sempre le difese più “primitive”, che comportano una distorsione della realtà a livello dei dati sensoriali, da quelle più evolute, che comportano un’alterazione più sfumata, a livello di vissuto emotivo.
Una difesa evoluta molto usata è l’intellettualizzazione, che consiste in un uso eccessivo di ragionamenti pseudo-intellettuali per evitare emozioni disturbanti. Tutti conosciamo qualcuno, o siamo stati quel qualcuno, che di fronte a un evento spiacevole si mette ad analizzare, teorizzare e dibattere come se stesse discutendo la tesi di laurea.
Un altro meccanismo simile è la razionalizzazione, cioè una giustificazione apparentemente razionale di attitudini, credenze o comportamenti in qualche modo problematici, al fine di renderli tollerabili. Ad esempio, fumo perché altrimenti ingrasserei, e si sa che l’obesità fa altrettanto male alla salute. Logico no?
Sulla stessa linea abbiamo l’isolamento dell’affetto, cioè la separazione di un’idea dallo stato affettivo associato al fine di evitare emozioni intense e spiacevoli. È il caso di una persona che parli della morte con tono freddo e distaccato. Oppure di chi va a fare un importante esame ma si sente perfettamente tranquillo, come se il risultato non lo riguardasse. È tipico di persone che amano mostrarsi razionali e controllate, che non tollerano di lasciarsi andare all’emotività.
La formazione reattiva consiste nella trasformazione di un desiderio o impulso inaccettabile nel suo opposto. Ad esempio una persona moralista, rigida, bacchettona può nascondere impulsi sessuali incontrollabili e perversi.
Tutti questi meccanismi si associano alla rimozione, trattata nell’articolo precedente, poiché di base abbiamo l’eliminazione di idee e impulsi inaccettabili attraverso un blocco del loro accesso alla coscienza.
Adesso parliamo di una difesa che nella vita abbiamo utilizzato tutti, ma che è tipica delle personalità con tratti “ossessivi”: l’annullamento retroattivo, cioè il tentativo di negare implicazioni aggressive o imbarazzanti di un precedente commento o comportamento attraverso rielaborazioni, precisazioni o comportamenti di segno opposto. Se ho dato senza volere una risposta aggressiva, in linea però con i miei sentimenti profondi verso una persona, posso sentirmi così “scoperto” e imbarazzato da produrmi in mille gesti di falsa gentilezza per “recuperare”. In questo caso, spesso la toppa è peggio del buco e la difesa smaschera proprio la verità che desideravamo celare.
Dei meccanismi molto importanti per la costruzione stessa del mondo psichico sono l’introiezione e l’identificazione. L’introiezione consiste nel “mettere dentro” aspetti di una persona significativa in modo da gestire la sua mancanza, o per illudersi di avere un controllo su di essa. La rappresentazione interiorizzata può riguardare una persona “buona”, di cui abbiamo avuto o abbiamo bisogno, oppure una persona “cattiva”, che ci sta facendo o ci ha fatto del male, e che possiamo vivere come una “parte aliena” che ci critica o danneggia. Anche nell’identificazione si “mettono dentro” caratteristiche di un’altra persona, ma in modo più sottile, vivendole come parti del proprio Sé: la persona diventa come quella con cui si identifica. Questo avviene nel normale sviluppo, ad esempio attraverso le identificazioni positive con i genitori. Nell’identificazione con l’aggressore, invece, la persona diviene come un altro potente e cattivo che ci ha maltrattato e abusato.
La sessualizzazione è l’attribuzione di un significato sessuale a un oggetto o a un comportamento al fine di rendere stimolante ed eccitante un’esperienza negativa o di allontanare le ansie associate all’oggetto o alla persona in questione. Ad esempio se sono molto angosciato per un colloquio di lavoro, posso concentrarmi sull’avvenenza dell’esaminatrice, sia per distrarmi, sia per renderla ai miei occhi più “umana”, dunque meno minacciosa.
Tra le difese molto mature annoveriamo la repressione, che consiste nella decisione consapevole di non prestare attenzione a un particolare sentimento o impulso. Si differenzia dalla rimozione e dal diniego per il fatto di essere attuata in maniera volontaria, invece che automatica e inconscia. Ad esempio possiamo consciamente reprimere il desiderio di uscire perché sappiamo che dobbiamo studiare o lavorare, quindi non ci facciamo neppure passare per la testa di fare altro finché non avremo finito.
Abbiamo poi l’anticipazione, che consiste nel differimento di una gratificazione immediata prevedendo e pianificando il conseguimento di futuri obiettivi. Per esempio, volendo raggiungere dei traguardi sportivi, rinunciamo alla soddisfazione di una bella abbuffata.
Infine la sublimazione consiste nel trasformare degli obiettivi criticabili in alternative socialmente accettabili, ad esempio una persona può sublimare i propri impulsi aggressivi attraverso la carriera militare, o un’altra può gratificare il proprio bisogno di essere amata e ammirata attraverso un’intensa attività di beneficenza.
Tutti i meccanismi finora descritti sono abbastanza o molto evoluti, perché presuppongono una differenziazione tra pensieri, emozioni e azioni e una buona capacità di regolare gli impulsi. La persona attraverso queste difese trova un compromesso tra le proprie esigenze interiori e la realtà, vendendo a patti con essa.
L’inconscio non è in un luogo misterioso, ma esattamente davanti a noi: abbiamo sempre una percezione personale delle cose. Ma quando si utilizzano in modo eccessivo le difese “primitive” il rischio è di una pesante alterazione della realtà.
Questo non significa che le persone “normali” non utilizzino mai difese primitive: le usano sicuramente tutti i bambini, a causa dell’immaturità del loro apparato psichico, ma anche gli adulti sani in momenti di particolare stress ed emotività, perché di fronte ad una realtà troppo difficile la prima reazione può essere quella di “attaccarla in blocco”, per poi ricominciare a pensare. La differenza sta nell’occasione e nella misura in cui tali meccanismi vengono usati: le persone più disturbate li utilizzano sempre, in modo massiccio e indiscriminato, fino alla perdita definitiva del senso di realtà tipica delle patologie più gravi.
La somatizzazione è uno dei primi meccanismi usati dall’essere umano, in quanto non prevede neppure la differenziazione mente-corpo. Il dolore emotivo o altri stati affettivi non sono percepiti come tali ma “trasformati” in sintomi fisici. Nei bambini più grandi e negli adulti, si sviluppano preoccupazioni circa il corpo e la salute, al fine di evitare il dolore e le tensioni psicologiche.
Due meccanismi primitivi abbastanza comuni sono l’idealizzazione e la svalutazione: si attribuiscono a un’altra persona caratteristiche di perfezione assoluta al fine di evitare sentimenti negativi come disprezzo, invidia e rabbia, oppure la persona in questione può essere vista come totalmente negativa. Parliamo di due facce della stessa medaglia, infatti possono riguardare uno stesso individuo che prima viene messo su un piedistallo e poi, ai primi segni di imperfezione, gettato nel fango. Questi meccanismi operano in sinergia con altri di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, come la scissione o rigida separazione di aspetti “buoni e cattivi” vissuti come inconciliabili, e il diniego o negazione di aspetti della realtà che non vogliamo vedere.
Se questi processi ci sono familiari, rassereniamoci: a tutti capita di sperimentarli, ad esempio sono tipici dell’innamoramento, considerato a ragione una “dolce follia”.
Abbiamo poi il ritiro “schizoide”, che comporta un rifiuto delle situazioni interpersonali e il ritiro in un mondo privato di fantasie, per difendersi dall’ansia e dalle angosce associate ai rapporti umani.
Infine, attraverso l’acting out, la persona mette in atto impulsivamente desideri e fantasie inconsce al fine di evitare affetti dolorosi. Un esempio può essere provocare una rissa, correre con la macchina, lasciare il lavoro, trasferirsi o partire all’improvviso, ma anche abusare di alcol e sostanze o giocare d’azzardo.
Come diceva Primo Levi, “la facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte passivo e inconscio e in parte attivo”. La psicoanalisi per prima ha affrontato proprio questo studio, dandoci preziose informazioni sul lavorio della mente umana nel suo sviluppo normale e patologico.
Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.