Abuso infantile e disturbi psicologici
I traumi e gli abusi subiti nell’infanzia sono esperienze difficili da superare. Quali sono le loro conseguenze psicologiche e comportamentali? Come si possono affrontare?
Il maltrattamento e l’abuso infantile, insieme alla grave trascuratezza, sono una delle principali cause di disturbi psichici, che possono insorgere nell’infanzia, in adolescenza, o in età adulta.
I traumi infantili hanno un tale peso nel determinare la psicopatologia successiva perché è penalizzata l’intera evoluzione della personalità, cioè lo sviluppo dell’autostima, di adeguati processi di pensiero, della capacità di contenere e regolare le emozioni, di controllare gli impulsi, di padroneggiare i propri comportamenti e di coltivare buone relazioni con gli altri.
Le conseguenze dell’abuso infantile
I danni prodotti da questo tipo di trauma non drivano solo dalle conseguenze dirette dell’abuso, ma anche dalla disorganizzazione del sistema di attaccamento tra bambino e genitori, alla base delle conquiste evolutive che, in circostanze “sufficientemente buone”, porterebbero il bambino a diventare una adulto sano e sereno.
Quello che sicuramente caratterizza le storie di bambini abusati è un legame traumatico con le figure di accudimento, cioè i genitori o chi ne ha fatto le veci, che non sono state in grado di fornire al bambino un contesto sicuro per esplorare e riflettere sugli stati mentali e sulle emozioni, proprie ed altrui. Infatti, crescere in un ambiente traumatico, ostile o violento, compromette le capacità di regolare le emozioni e decifrare i pensieri, cioè i processi di mentalizzazione.
I danni ai processi di pensiero
Un bambino maltrattato, abusato o gravemente trascurato non può imparare a pensare, a “leggere la mente” del genitore, e così allenarsi a leggere la propria, perché deve difendersi da contenuti terribilmente angoscianti. Non può tollerare di pensare a ciò che il genitore ha in mente, perché vi leggerebbe odio o indifferenza. Non può tollerare di pensare alla propria rabbia, alla disperazione, all’impotenza.
Inoltre, il bambino vive una dilemma insolubile: la persona a cui è predisposto (in maniera innata) a rivolgersi in caso di pericolo, cioè la figura di attaccamento, è anche la fonte del pericolo. Non è possibile né avvicinarsi né allontanarsi da lei, senza mettere a repentaglio la propria sicurezza psicologica e fisica. Così, il sistema di attaccamento si disorganizza e i processi psichici collassano.
I danni alle rappresentazioni di sé e degli altri
I bambini maltrattati e abusati hanno la tendenza a sviluppare un’immagine di sé negativa. Preferiscono pensare di essere cattivi, piuttosto che sentirsi impotenti, o contemplare l’ipotesi che i “cattivi” siano i genitori, dai quali dipende la loro sopravvivenza. Naturalmente, sviluppano parallelamente anche una rappresentazione fortemente compromessa degli altri e delle relazioni.
Le rappresentazioni contraddittorie delle figure di attaccamento, e di sé in relazione a loro, sono tenute in piedi, ma separate, da meccanismi di scissione, che evitano il conflitto ma causano vulnerabilità psicologica, confusione e instabilità.
Nei casi di abuso sessuale, i bambini sono particolarmente inclini a vivere se stessi come colpevoli e inadeguati e il proprio corpo come irrimediabilmente danneggiato. Sviluppano pesanti sensi di colpa per una presunta “collusione” con il genitore abusante, per qualsiasi vantaggio possano aver tratto dal rapporto con lui, per essersi sentiti speciali, aver tratto qualche piacere dalle sue attenzioni, aver ricevuto trattamenti di favore, perché hanno mantenuto il segreto, o perché l’abusante stesso li ha portati a credere di avere qualche responsabilità.
I rischi evolutivi e di ri-vittimizzazione
L’incapacità di riflettere sui propri stati mentali, come su quelli delle persone attorno a lui, il carente autocontrollo, i deficit nelle capacità di empatia e immedesimazione, mettono il bambino a rischio di ulteriori esperienze negative: rifiuto da parte dei coetanei, problemi scolastici, disturbi del comportamento, relazioni difficili e, successivamente, fallimenti sentimentali e professionali, abuso di alcol o sostanze e disturbi psichici.
Spesso, la natura del trauma porta queste persone, in età adulta, a ricercare partner violenti, poiché l’abuso e l’unica forma di “amore” che conoscono. Ciò che è prevedibile, per quanto terribile, è più rassicurante di ciò che è sconosciuto. Inoltre, facendo così, tentano di “gestire” attivamente un trauma in precedentemente vissuto passivamente.
Spesso, a causa della loro incapacità di fidarsi delle proprie sensazioni e “fiutare il pericolo”, rischiano di essere nuovamente vittimizzati anche in altri contesti: a lavoro, nelle amicizie, perfino nei rapporti di cura.
Lo sviluppo di disturbi psicologici e comportamentali
Tra i disturbi psichici maggiormente correlati ai traumi infantili abbiamo ansia, depressione, problemi psicosomatici, disturbi del sonno e dell’alimentazione (anoressia, bulimia, obesità). Frequentemente si riscontrano disturbi di personalità, soprattutto di tipo borderline, con instabilità emotiva, impulsività, sbalzi d’umore, problemi relazionali e comportamentali. Possono presentarsi problemi di dipendenza, abuso sostanze o condotte antisociali. In infanzia, possiamo avere iperattività, difficoltà di concentrazione, disturbi della condotta.
Le persone traumatizzate rischiano anche di sviluppare sintomi dissociativi, e se è vero che non tutti i bambini abusati sviluppano tali disturbi, la maggior parte delle persone con queste problematiche ha alla spalle una storia di traumi e abusi infantili.
La dissociazione
La dissociazione è un meccanismo psichico attraverso cui funzioni mentali normalmente integrate, come coscienza, memoria, identità, emotività, percezione, rappresentazione corporea, controllo motorio e comportamento, vengono separate e disconnesse.
La capacità di entrare in uno stato alterato di coscienza, in una sorta di trance ipnotica, in cui vi è una completa adesione ad alcuni aspetti dell’esperienza, mentre altri sono totalmente ignorati, è una potenzialità della mente umana. Ne sono un esempio la cosiddetta “ipnosi da autostrada” o sensazioni transitorie di estraneità e “distanziamento”.
La capacità dissociativa può essere usata come meccanismo di difesa in una situazione di grave pericolo e minaccia, permettendo di mantenere l’illusione di un controllo psicologico di fronte a penose sensazioni di terrore, impotenza e perdita di controllo sul proprio corpo. Anche a causa di questo meccanismo, spesso si ha una compromissione della memoria e gli eventi traumatici sono dimenticati, del tutto o in parte, o ricordati in modo confuso e alterato.
Una difesa efficace, ma pericolosa
Di fronte ad esperienze traumatiche che sovrastano i normali meccanismi difensivi e di adattamento, le persone che imparano a “dissociare” dispongono di una difesa immediata che permette loro “anestetizzarsi”, di distaccarsi dall’esperienza. Ma questo meccanismo, per certi versi adattivo, ha un suo prezzo: impedendo il doloroso lavoro psichico necessario a integrare il trauma nella coscienza, impedisce una sua elaborazione. Inoltre, se la dissociazione tende a diventare la modalità privilegiata di far fronte a qualsiasi tipo di stress o dolore, possono svilupparsi gravi sintomi e disturbi mentali.
La dissociazione soddisfa anche l’esigenza di tenere rappresentazioni di sé differenti, conflittuali o non coerenti, in compartimenti mentali separati: ad esempio il ricordo del Sé vittimizzato, debole e impotente, viene dissociato dalla rappresentazione del Sé forte e controllato della vita quotidiana. Questo, naturalmente, impedisce un’elaborazione del conflitto e lo sviluppo di modalità di difesa più adattive.
Come capire se si soffre di disturbi dissociativi
La dissociazione è un sintomo di diversi disturbi psichici, ma nei disturbi dissociativi costituisce il nucleo centrale. Questi disturbi, rimasti per molto tempo “misteriosi”, oggi sono pienamente riconosciuti dalla psichiatria ufficiale, anche se sussistono ancora pregiudizi e difficoltà diagnostiche. Vediamo in cosa consistono.
Una persona che soffre di depersonalizzazione/derealizzazione sperimenta, in modo frequente e ricorrente, un senso di irrealtà e distacco, rispetto a se stesso o all’ambiente circostante, che si manifesta attraverso: distorsioni della percezione, alterazioni del senso del tempo, senso di sé irreale o assente, ottundimento emotivo o fisico, percezione delle persone o degli oggetti come irreali, estranei, nebbiosi o deformati.
L’amnesia dissociativa, invece, è caratterizzata dall’incapacità, di natura psichica, di ricordare importanti informazioni su di sé e sulla propria vita, spasso legate a un trauma.
Infine, il disturbo dissociativo dell’identità, un tempo denominato “personalità multipla”, è un disturbo psichico grave, che ha da sempre affascinato scrittori e registi e suscitato controversie e polemiche tra gli addetti ai lavori. Le persone che ne soffrono si comportano come se avessero due o più personalità distinte, o fossero “possedute”, sperimentando una forte discontinuità del senso di sé e della consapevolezza delle proprie azioni, con vuoti di memoria, importanti problemi relazionali e compromissione del funzionamento sociale e lavorativo.
Le persone che soffrono di questi disturbi spesso non ne hanno consapevolezza, non sanno riportare in maniera esaustiva i propri sintomi e non ricevono una corretta diagnosi. Spesso vengono trattati per altri disturbi psichici, con esiti insoddisfacenti.
La terapia del trauma e dell’abuso infantile
Ogni evento traumatico non elaborato comporta un rischio di ricadere nel “già vissuto”, nella coazione a ripetere, come tentativo di trasformarsi da oggetto a soggetto dell’esperienza, di padroneggiare alcuni aspetti del trauma, per una sorta di “fedeltà inconscia” verso l’abusante, o se non altro perché ciò che si conosce è meno angosciante di ciò che è ignoto.
Per liberarsi del trauma, bisogna elaborarlo attraverso un processo narrativo che, organizzando i vissuti frammentari e contraddittori secondo un principio d’ordine, aiuti a definire ciò che realmente accaduto e a fissare il passato nella memoria, indebolendo la spinta a ripeterlo nel presente.
Ripristinare la verità è il primo passo verso la guarigione, contro la tendenza all’inganno e alla mistificazione che spesso caratterizza le famiglie d’origine delle vittime di abuso. La narrazione è l’antidoto contro la tendenza a rimuovere o negare le esperienze traumatiche, a rinchiuderle nell’inconscio gettando la chiave famiglie, al prezzo di un grande dispendio di energie e impoverimento della vita psichica. Ma non è il ricordo in sé a curare, bensì la possibilità di riprendere le redini della propria storia personale, poiché l’autobiografia è la colonna portante dell’identità.
Quando trattiamo persone con storie infantili traumatiche, il primo aspetto che consideriamo è quello dell’alleanza terapeutica: va costruito un rapporto di fiducia e bisogna garantire loro un adeguato controllo sul processo terapeutico. Purtroppo non possiamo cambiare il passato, ma insieme possiamo “curare” i sintomi attuali e lavorare gli effetti che la loro storia ha sul presente, sul modo di percepire se stessi, di rapportarsi con gli altri e di gestire la propria vita.
Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.
Leggi anche: Guarire dalle ferite del trauma
Bibliografia
American Psychiatric Association (2013), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione (DSM V), Tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
Gabbard G.O. (2005), Psichiatria Psicodinamica, quarta edizione, Eaffaello Cortina Editore, Milano, 2007.
Herman J.L. (2005), Guarire dal trauma, Edizioni Magi, Roma.