Quando stress, ansia e depressione mandano in tilt il cuore
Esiste una vera relazione tra emozioni negative e patologie cardiache?
Da tempo si conosce il legame tra emozioni negative e disturbi cardiovascolari: è oggi ampiamente dimostrato come stress, tensioni e disagi psichici mettano a rischio il nostro cuore, tanto quanto il fumo, una cattiva alimentazione e gli stili di vita scorretti.
L’ansia rappresenta sia un fattore di rischio per i disturbi cardiovascolari, anche nella persona sana, sia una conseguenza della patologia cardiaca, che pone il paziente in una condizione di ulteriore vulnerabilità, ostacolando la guarigione e favorendo le recidive, quando in molti casi sarebbe possibile una piena riabilitazione.
Ma come si spiega questo legame così significativo tra stati psicologici e patologia organica? Come si verifica questo “salto” tra mentale e corporeo? Se un tempo la correlazione era intuita ma non dimostrata, oggi la scienza ha iniziato a darci risposte precise.
Come evidenziato da un recente studio, pubblicato su The Lancet, l’amigdala, cioè la zona del cervello implicata nella vita emotiva, in caso di emozioni negative si iperattiva, scatenando difese immunitarie e conseguenti processi infiammatori nocivi per l’apparato cardiovascolare.
Se un forte stress può favorire un danno vascolare, i pazienti con problemi psicologici, come ansia, depressione e disturbi correlati a stress o traumi, presentano un’iperattivazione cronica dell’amigdala, a prescindere dalle circostanze esterne, che li pone in una condizione di rischio aggravato e continuativo.
Non tutto lo stress è nocivo
Lo stress è la normale condizione in cui si trova l’organismo quando deve adattarsi alle richieste esterne ed è “stimolato” a far fronte a sfide e problemi. Diventa pericoloso solo quando è troppo intenso e prolungato, comportando un esaurimento delle nostre risorse psicofisiche.
Tutti nella vita andiamo incontro a periodi di stress e non è possibile eliminare gli impegni, le preoccupazioni e i problemi. Il punto è confrontarcisi in maniera “attiva” e consapevole, gestendo ciò che è gestibile e affrontando il resto senza lasciarsi travolgere dagli eventi.
Lo stesso discorso vale per la paura: un’emozione che ci permette di sopravvivere ai pericoli, aumentando il nostro stato di allerta e preparandoci a reagire, ma che diventa problematica quando è sproporzionata rispetto all’evento scatenante o inibisce l’azione, invece che favorirla.
L’ansia , invece, è una sensazione diffusa di agitazione, confusione, preoccupazione, che si esprime anche a livello fisico, con tachicardia, sudorazione, tremori, tensione muscolare, difficoltà respiratorie, testa leggera, nausea, dolore al petto.
Molti di questi sintomi, di fatto, assomigliano ai sintomi cardiovascolari, tanto che molte persone con attacchi di panico si presentano dal medico temendo di aver avuto un principio di infarto. Da questo punto di vista, è fondamentale una buona diagnosi differenziale, che verifichi l’effettiva presenza di un rischio cardiaco.
Come agisce Io stress sul cuore
Ma cosa succede, di fatto, alle persone ansiose, depresse o stressate, per cui aumenta il loro rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare?
Abbiamo visto come l’amigdala “impazzita” segnali al midollo osseo di produrre più globuli bianchi, che a loro volta infiammano le arterie.
Inoltre, lo stress e l’ansia aumentano l’attivazione del sistema nervoso simpatico provocando il rilascio delle catecolamine (epinefrina e norepinefrina), con i seguenti effetti: aumento di frequenza e pressione sanguigna, restringimento delle arterie coronarie, incremento della richiesta cardiaca, aumento dell’attività delle piastrine e della coagulazione del sangue, con conseguente rischio di aritmie, formazione di trombi, rottura delle placche artereosclerotiche e ischemia del miocardio.
La depressione, poi, comporta un aumentato rilascio di sostanze infiammatorie (citochine) e un’alterazione del circuito della serotonina, con alterazioni delle pareti dei vasi e incremento della coagulazione del sangue. La serotonina, che nel cervello tende a diminuire, aumenta nel sangue periferico e nel cuore, incrementando il rischio di attacco cardiaco.
Infine, i traumi, specialmente quelli cumulativi, portano a cambiamenti profondi e durevoli negli stati di eccitazione fisiologica, con ipervigilanza, allerta e disturbi psicosomatici. L’iperattivazione del sistema nervoso autonomo (ramo simpatico) e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, associata allo stress cronico, costituisce un significativo fattore di rischio per i disturbi cardiovascolari.
La terapia dei pazienti cardiopatici
Gli studi sugli interventi psicologici con i pazienti cardiopatici sono più che incoraggianti: hanno mostrato, infatti, una riduzione del 29% del numero degli infarti e del 34% della mortalità cardiaca, con effetti positivi su pressione sanguigna, colesterolo, peso corporeo, fumo, esercizio fisico e abitudini alimentari. Inoltre, è emersa una riduzione delle spese sanitarie del 30%, a fronte di un aumento del 20% nei cardiopatici non sottoposti a intervento psicologico.
L’ansia è una reazione normale ad un trauma quale può essere un evento cardiaco, mai nei casi in cui sia estrema o persistente ha conseguenze molto negative per la salute fisica e mentale, dunque deve assolutamente essere trattata.
Questi pazienti, spesso, tendono monitorare eccessivamente sia i segnali corporei sia le circostanze esterne, nel tentativo di “controllare” l’evento temuto. Questo però, riduce la qualità della vita, mina l’autostima e li espone ad un maggior rischio di recidiva. Per una buona riabilitazione, invece, è importante che imparino, oltre a correggere gli stili di vita nocivi, a gestire l’ansia e le preoccupazioni e che abbiano uno spazio per elaborare le emozioni negative, la rabbia e i vissuti depressivi.
Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.
Bibliografia
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Molinari, E., Compare, A. e Parati, G. (2007), Mente e cuore. Clinica psicologica della malattia cardiaca, Springer-Verlag, Milano.
www.thelancet.com (2017), Relation between resting amygdalar activity and cardiovascular events: a longitudinal and cohort study.