Accumulatori seriali: perché non riesco a buttar via nulla?
C’è chi non riesce a disfarsi di niente, conserva qualsiasi cosa e vive sommerso da oggetti spesso inutili. Parliamo della cosiddetta “disposofobia”, su cui spesso si fa parecchia confusione.
“Meno possiedi, meno sei posseduto“, una massima tanto difficile da applicare, quanto azzeccata nel descrivere questo tipo di situazioni, in cui l’accumulo esagerato di beni, a prescindere dal loro valore, compromette la qualità della vita della persona e dei suoi familiari.
Si chiama “disturbo da accumulo” e ne soffre un numero imprecisato di persone, si stima tra il 2 e il 6% della popolazione, se parliamo di diagnosi clinica. Come tendenza, invece, è abbastanza diffusa, tanto che tutti conosciamo qualcuno che conserva vecchi vestiti, riviste, souvenir e oggetti di dubbia utilità, solo perché non riesce a sbarazzarsene, stipando fino all’orlo la cantina o gli sgabuzzini di casa.
Questo disturbo, anche chiamato disposofobia, è caratterizzato dalla difficoltà di separarsi dai propri oggetti: la persona sente la necessità di conservare qualsiasi cosa, anche la più insignificante, e prova un forte disagio se costretta a liberarsene. Questo produce un accumulo che ingombra gli spazi vitali dell’abitazione, compromettendone l’utilizzo.
Questa tendenza ad accumulare, per essere considerata patologica, deve:
- durare nel tempo
- causare disagio significativo o compromettere il funzionamento della persona.
Questo vuol dire che non è una semplice caratteristica individuale, un tratto della personalità, per quanto eccentrico, ma è una vera e propria patologia, in quanto causa sofferenza alla persona stessa o ai suoi familiari, oppure crea problemi significativi a livello relazionale, lavorativo e sociale.
Chi ha un disturbo da accumulo non vuole e non può separarsi dai propri beni, adducendo diverse giustificazioni: una possibile utilità futura, il valore estetico, la paura di perdere informazioni utili, il rigetto di ogni forma di spreco.
In realtà, sente un profondo legame emotivo nei confronti di questi oggetti, arrivando a percepirli come unici, una parte di sé o della propria storia. Si sente, in qualche modo, responsabile del loro destino, e ha il bisogno di mantenere il controllo su di essi, senza che nessuno li tocchi o li sposti.
La gravità del disturbo può variare considerevolmente, da una situazione che riguarda solo alcuni oggetti e spazi della casa, a scenari da brividi, dove non c’è più spazio per cucinare, sedersi, lavarsi, o dormire. La gestione della problematica può essere più o meno riuscita, a seconda che si disponga di spazi extra, come soffitte, cantine o garage, per circoscrivere l’accumulo, o che vi siano parenti in grado di garantire un minimo di ordine e pulizia.
Per diagnosticare il disturbo da accumulo, bisogna tenere presenti alcuni fattori:
- l’accumulo deve essere intenzionale: non parliamo di un individuo che accumula per passività o “pigrizia”, ma non è turbato dalla prospettiva di liberarsi dei suoi oggetti, bensì di una persona che non vuole separarsene;
- bisogna differenziare questa condizione dal collezionismo, che è organizzato e sistematico, non produce ingombro e non compromette la vivibilità della casa;
- è necessario considerare se, in aggiunta al “fattore accumulo”, vi sia anche una tendenza all’acquisizione eccessiva, mediante lo shopping compulsivo o il recupero di oggetti gettati da altri (cosa che avviene nella maggioranza dei casi);
- bisogna valutare, in maniera approfondita, la gravità del comportamento e le sue conseguenze a livello pratico, economico e psicosociale.
E’ importante sapere che la tendenza all’accumulo può essere una manifestazione clinica di diversi disturbi, organici o psichici: traumi cranici, problemi cerebrovascolari, disturbi neurocognitivi, disturbo ossessivo compulsivo, depressione, psicosi. In questi casi, naturalmente, la diagnosi, così come il trattamento e la prognosi, saranno molto diversi. Il clinico, dunque, non può limitarsi a prendere in considerazione le caratteristiche esteriori del disturbo, ma deve procedere ad un’approfondita valutazione della personalità del soggetto.
Sicuramente, un aspetto centrale degli accumulatori compulsivi è l’indecisione, che spesso caratterizza non solo loro, ma anche i familiari più stretti. Si sentono turbati se costretti a decidere cosa tenere o buttare, temono di prendere la decisione sbagliata, anche a causa di un certo perfezionismo. Per placare l’ansia, rimandano qualsiasi tentativo di organizzare e eliminare, provando molto disagio se incalzati da altri.
ll circolo vizioso dell’accumulo ha spesso gravi conseguenze: dall’impatto devastante sulla casa, alla compromissione del funzionamento lavorativo e sociale, ai possibili rischi per la salute, sia per il mancato rispetto degli standard igienici, sia per il pericolo di incidenti.Possono sorgere problemi economici, a causa delle spese eccessive, dei mancati guadagni o della cattiva amministrazione dei beni.
Vi è, tipicamente, un progressivo isolamento della persona e un deterioramento delle relazioni in famiglia, spesso caratterizzate da incomprensioni, rabbia, vergogna e senso di impotenza. Anche i rapporti con i vicini tendono ad essere tesi e conflittuali, talvolta perfino con le autorità locali.
È da sottolineare come circa il 50% degli accumulatori riferisce di avere parenti che accumulano, il che si spiega in parte come ereditarietà genetica, in parte come trasmissione di modalità familiari disfunzionali di gestire le emozioni e le angosce. Queste persone, spesso, hanno vissuto stress e traumi, che possono o precedere l’insorgenza del disturbo, o aggravarlo significativamente.
Quello che colpisce è la chiusura dello spazio mentale, in particolare per quello che riguarda l’area del simbolico. Le emozioni non possono essere pensate, i pensieri “giocati” in uno spazio intermedio tra realtà e fantasia: tutto è concretizzato, aderente alla realtà. Così, realmente questi oggetti sono parti del Sé, estensioni della propria identità, frammenti di emozioni, fantasie, legami e vissuti che non possono essere pensati, ma vanno tenuti sotto un illusorio controllo. Non solo il paziente, ma spesso anche i familiari sono caratterizzati da questo tipo di funzionamento.
In terapia, oltre al funzionamento di base, individuale e familiare, che può far propendere per approcci anche molto diversi tra loro, va tenuto conto del livello di consapevolezza rispetto al disturbo: ci sono persone che riconoscono la problematicità delle convinzioni e dei comportamenti legati all’accumulo, mentre altri negano ogni tipo di problema, nonostante le evidenze. In tutti i casi, ma soprattutto in quest’ultimo, è innanzitutto necessario costruire una buona alleanza terapeutica, per un trattamento che sia il più possibile efficace.
Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.