Dipendenza affettiva: quando le relazioni diventano una prigione
Parliamo di dipendenza affettiva, paura dell’abbandono, incapacità di stare soli. Cosa ci segnalano?
Fate pure quel che volete, ma innanzitutto siate di quelli che sanno volere.
Amate pure il vostro prossimo come voi stessi,
ma siate innanzitutto di quelli che amano se stessi.
(F. Nietzsche)
Tutti noi siamo “dipendenti” dagli altri, dalle relazioni, essendo l’uomo quell’animale che non può sopravvivere senza molti anni di cure intensive da parte dei genitori. Infatti, gli esseri umani sviluppano la maturità biologica, psicologica e sociale solo verso la fine dell’adolescenza, e spesso oltre. Ma anche un individuo maturo non può vivere senza i suoi simili, perché l’uomo è essenzialmente un animale sociale.
Dunque tutti abbiamo bisogno di relazioni, familiari, amicali, sociali, amorose e sessuali e le persone sviluppano diverse modalità di stabilire questi legami: c’è chi ha l’esigenza di una massima vicinanza, chi preferisce relazioni meno avviluppanti, chi si realizza nella cura degli altri, chi preferisce salvaguardare al massimo la propria autonomia.
Quando possiamo parlare di dipendenza affettiva?
Il problema della dipendenza relazionale nasce quando l’esigenza di avere un rapporto stabile porta a subire e accettare situazioni non idonee alla propria realizzazione personale e sociale, al mantenimento del benessere psicologico, e a volte anche fisico.
Quando siamo prigionieri di una relazione di dipendenza i nostri bisogni e desideri vengono messi in secondo piano, perché il rapporto deve essere mantenuto a qualsiasi prezzo, fino all’annullamento individuale al servizio dei bisogni altrui.
Non è detto che sia il partner ad approfittarsi di noi, ma si instaura un meccanismo per cui la persona, sentendo di non poter vivere senza l’altro, si mette su un piano di sudditanza, assume una posizione di debolezza.
Questo non dipende dalle risorse individuali, sociali ed economiche della persona in questione, poiché anche individui perfettamente indipendenti dal punto di vista pratico possono essere molto dipendenti dal punto di vista affettivo, tanto da non sentirsi capaci di fare a meno del partner per nessun motivo.
Dipendenza e potere
Quando ci sono relazioni di dipendenza, c’è spesso uno squilibrio di potere, anche se non immediatamente evidente, perché la dipendenza emotiva non coincide con quella materiale: prendiamo una coppia composta da una casalinga e un professionista, in cui lui sia in una posizione di maggior peso dal punto di vista economico e sociale. Se la donna può essere dipendente da lui dal punto di vista materiale, non è detto che lo sia anche da quello emotivo; potrebbe avere amicizie, interessi e risorse tali da non sentirsi affatto vincolata a lui se il rapporto finisse. Viceversa, lui potrebbe avere solo lei come centro dei suoi affetti, stimolo alla carriera, perno della sua vita sociale e potrebbe deprimersi o non accettare la separazione. In altri casi, si sviluppa una dipendenza reciproca, che porta due persone a non poter fare a meno l’una dell’altra, anche se non sono più felici insieme, ma nessuno dei due, per motivi diversi, può svincolarsi da questo legame insoddisfacente.
I legami di appoggio come base sicura
Il problema della dipendenza è il problema della separazione: se nelle nostre prime relazioni abbiamo sperimentato normali rapporti di sicurezza, se ci siamo potuti appoggiare a chi si è preso cura di noi, abbiamo sviluppato la capacità di separarcene per esplorare il mondo, con la consapevolezza di avere sempre un porto sicuro dove tornare. Con il tempo, la sicurezza che ci è stata data è diventata la nostra sicurezza, e quel “porto sicuro” siamo diventati noi.
La fiducia in noi stessi, la capacità di calmarci quando siamo agitati, la possibilità di superare le difficoltà, un generale atteggiamento ottimistico nei confronti della vita sono eredità importantissime dei nostri primi legami. Da questo dipende la nostra capacità di stare da soli con noi stessi e vivere le relazioni con gli altri come un valore aggiunto.
L’altro come stampella che ci impedisce di correre
Tutti noi abbiamo vulnerabilità, insicurezze, punti deboli, ma quando la fragilità è eccessiva, anche se non evidente, possiamo cercare negli altri la chiave per compensare le nostre mancanze, vere o presunte. Sempre, nella scelta del partner, siamo attratti sia dagli aspetti che ci rendono simili, sia dalle qualità che ci mancano e che vorremmo avere. Stare con l’altro dovrebbe essere una palestra per allenare quelle qualità, non un modo di “incorporarle” grazie alla sua vicinanza, facendolo diventare la stampella per sostenere la nostra autostima, mantenerci in equilibrio, mediare il nostro rapporto con gli altri, riempire il vuoto delle nostre giornate. Queste funzioni da “Io ausiliario” vanno ben al di là di ciò che si può chiedere in un rapporto e tendono a svuotare ancora di più la persona, che meno cammina da sola, più avrà bisogno del bastone.
Non tutte le situazioni sono così estreme, anzi spesso le cose sono molto sfumate. A volte una persona perfettamente autonoma, realizzata, apparentemente indipendente non può rinunciare ad un rapporto logoro, non per le qualità del rapporto in sé, ma per quello che rappresenta per lei. A volte, più di quello che la persona ci dà, temiamo di perdere ciò che pensiamo il rapporto ci garantisca: lo status di coppia, una presenza fisica rassicurante, abitudini, amicizie, svaghi condivisi, e così via. Possiamo poi temere qualcosa di ancora più profondo: dover ammettere un fallimento di cui ci colpevolizziamo, viverci come indegni di amore e incapaci di far funzionare qualsiasi rapporto.
Annullamento di sé, co-dipendenza e legami violenti
La separazione, la parola “fine”, può richiamare in noi vissuti dolorosi, questioni irrisolte, traumi familiari non superati; può significare la fine di un progetto di vita o intaccare l’immagine di noi stessi, perché abbiamo messo nella relazione troppo della nostra identità e progettualità, svuotandoci a poco a poco.
Ci sono poi le situazioni limite, in cui si arriva all’annullamento di sé in funzione dell’altro: persone che vivono per prendersi cura dei figli o del partner, senza uno spazio o un orizzonte di vita proprio. Possono così eludere il confronto con se stesse, spostare le proprie ansie all’esterno e gestirle attraverso le attività di cura e le preoccupazioni per i familiari, rifuggire il proprio senso di vuoto. Oppure situazioni di “co-dipendenza” in cui una persona è talmente condizionata dai problemi dell’altro da vivere per controllare i suoi comportamenti disfunzionali e pericolosi, come l’abuso di alcol e sostanze o altre dipendenze. Così, curando l’altro, la persona si illude di riparare se stessa.
Abbiamo poi il caso di persone, soprattutto donne, che non riescono a troncare legami violenti, in cui il rapporto non è d’amore, ma di possesso. Perché si accetta di vivere in questa situazione? Può essere una donna apparentemente indipendente, avere risorse materiali, ma presentare una fragilissima autostima e poca autonomia interiore: di fronte a un compagno che la controlla, le fa scenate di gelosia, la maltratta, la picchia, a qualche livello si sente riconosciuta, degna di interesse, anche se in modo distorto. Spera che con il suo amore, e solo con il suo amore, lui potrà cambiare e questa speranza dà un senso alla sua vita, la fa sentire speciale, la stessa speranza che è causa di così tante morti di donne per mano dei compagni di vita.
Chi non si puo’ separare, non puo’ amare
Concludiamo ricordando che il modo in cui si impara ad amare e essere amati condizionerà tutte le nostre relazioni future. Spesso, sotto ai legami di dipendenza c’è una grande buco interiore, proprio al posto della stima di sé e della sicurezza nei legami, un vissuto depressivo profondo che si cerca di colmare attraverso l’amore passionale, la dolorosa sensazione di cadere nel vuoto se si perde l’altro, perché la separazione equivale a una morte, una morte psichica.
Ma chi non riesce a separarsi, in realtà non riesce neppure a legarsi: un amore sano si fonda su due personalità complete, che sanno amare perché amano innanzitutto se stesse.
Contatti: studio di psicologia e psicoterapia
Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.