Per il bambini il gioco è una cosa seria
Lasciamo ai nostri figli il tempo di giocare liberamente, senza regole. E’ indispensabile per la loro crescita psicologica. Vediamo perché.
Oggi i bambini sono spesso sommersi dagli impegni e non hanno tempo di giocare in modo libero e non strutturato. I genitori tendono a sottovalutare questa mancanza, perché non conoscono a pieno la funzione e il valore del gioco in età evolutiva.
L’assenza di tempo per giocare liberamente, anche annoiandosi o facendo giochi apparentemente “inutili”, crea un grande danno ai bambini perché il gioco è il loro principale strumento di crescita psicologica e relazionale.
È molto importante lasciare ai figli abbastanza tempo per giocare, perché per i piccoli il gioco è un vero e proprio lavoro che sviluppa la mente, lo strumento per pensare che ci permette di conoscere il mondo, relazionarci con gli altri, gestire le emozioni e le angosce.
Il tempo del gioco dovrebbe essere reputato di uguale valore rispetto a quello dedicato allo studio, allo sport o alle attività culturali. Parliamo di gioco non strutturato, manuale, dunque non videogiochi, né giochi con scopi competitivi, didattici o altre finalità che non siano il puro piacere di giocare.
All’origine del gioco c’è la pulsione, l’affetto. Il gioco è intriso di affetti ed è allo stesso tempo un lavoro sugli affetti, che devono essere simbolizzati, integrati, regolati. Un’altra funzione fondamentale del gioco è legata alla conoscenza della realtà: attraverso il gioco il bambino, come un piccolo scienziato, esplora ed apprende le leggi che governano il mondo, risolve gli enigmi, sviluppa una teoria della realtà e un senso di padronanza su essa.
La mente del bambino nasce nel rapporto con la mente del genitore, che accoglie le sensazioni ed emozioni caotiche del neonato, dà loro un significato e gliele restituisce in una forma comprensibile e “digeribile”, cioè pensabile.
Questo fondamentale processo di nascita e crescita psicologica si svolge anche e soprattutto attraverso i primi giochi, che sono un prolungamento delle condotte che il bambino mette in atto per adeguarsi all’ambiente e dei rituali attraverso cui il genitore si prende cura di lui, quando perdono il loro carattere “pratico” e si riproducono per piacere.
Attraverso il gioco il piccolo scopre e differenzia ciò che è Sé da ciò che è altro da Sé ed esplora e regola il rapporto tra realtà esterna ed interna.
Pensiamo a un bambino di 8 -10 mesi che, mentre è imboccato sul seggiolone, gioca a lanciare un giocattolo che la madre raccoglie senza sosta: il giocattolo rappresenta sia il boccone che va giù nello stomaco, aiutandolo ad elaborare il processo di incorporazione del cibo, sia la mamma che, ritornando sempre, sopravvive ai “morsi” del bambino, rassicurandolo sul fatto che l’incorporazione psichica (modellata su quella orale) non la distrugga.
Un altro gioco tipico è quello del cucù, in cui la mamma scompare e ricompare alla vista del bambino ed esso elabora così l’esperienza della distanza e del ricongiungimento, imparando pian piano che l’altro, il genitore, continua ad esistere anche quando sparisce dalla sua vista. Così il bimbo prende confidenza, in un contesto ludico e di piacere, con le emozioni legate alla separazione.
Il gioco trasforma le percezioni sensoriali ed emotive grezze in pensieri, rappresentazioni simboliche della realtà, attenuandone l’impatto potenzialmente traumatico. Questo avviene attraverso un movimento dentro-fuori, dal mondo esterno a quello interno e viceversa, che fabbrica la psiche, il pensiero, che è un “tampone” tra noi e la realtà esterna.
Il gioco apre il mondo psichico, in quanto riproduce una realtà “come se”, simbolica, collegata ma separata da quella oggettiva, concreta. È questa la “terra di mezzo” in cui mondo interno ed esterno si incontrano, in cui il peluche rappresenta la mamma, senza essere la mamma.
Nel gioco, il bambino appoggia il suo mondo interno a oggetti concreti e reali, che può manipolare e ordinare in base alle sue esigenze interne, passando dalla pura fantasia ad una realtà che, per il suo carattere fittizio, gli consente di muoversi in piena libertà.
Le pulsioni che il gioco del bambino piccolo tratta sono tutte le pulsioni di amore e aggressività che circolano nella relazione genitore-bambino ed una delle funzioni principali del gioco è quella di legare l’odio con l’amore, di tenerli insieme, senza che il primo distrugga il secondo: così avviene, ad esempio, quando il piccolo attacca la mamma, graffiandole il viso o tirandole il capelli, e la mamma trasforma l’attacco in un gioco di carezze e solletico, mitigando l’aggressività con la tenerezza, trasformando un attacco violento, e spaventoso per il bambino stesso, in un momento di piacere condiviso. La stessa funzione hanno tutti i giochi che rappresentano una teatralizzazione della violenza (giocare a divorarsi, il leone che mangia il bambino, ecc).
Questo lavoro di legame tra pulsioni di amore e di odio non è alla base solo del gioco, ma dell’educazione stessa, che è essenzialmente un assorbimento dell’odio, che altrimenti rischierebbe di esprimersi in maniera brutale e distruttiva.
Crescendo il bambino ha sempre molto bisogno di giocare e riesce ormai a farlo anche da solo, o con altri bambini: per lui quello del gioco è uno spazio libero, in cui poter scaricare su oggetti simbolici (giocattoli, situazioni ludiche) tensioni, ansie, paure, desideri o forme aggressive riferite a persone o cose del suo ambiente.
Grazie al gioco, inoltre, può trasformare in attiva una situazione emotiva, magari intensa o dolorosa, che altrimenti sarebbe costretto a vivere passivamente, senza alcuna speranza di controllo.
Per questo è importante lasciare i bambini realmente liberi di giocare: non dobbiamo mettere noi le regole, cercare di indirizzare il gioco magari per renderlo educativo, preoccuparci se fanno giochi all’apparenza monotoni, sconclusionati o secondo noi inutili, perché è esattamente quello di cui hanno bisogno!
Nel gioco, la soddisfazione e la scarica delle pulsioni si compie senza angoscia. Quando compare l’angoscia, questa non è conseguenza del gioco, bensì il materiale che la psiche del bambino, attraverso il gioco, tenta di gestire ed elaborare.
Giocando, infatti, i bambini fanno una sorta di auto-terapia: il senso di dominio sugli oggetti e situazioni offerto dal gioco permette di rappresentare, da più punti di vista e in più modalità, situazioni emotive anche pesanti o traumatiche, raggiungendo un senso di maggiore sicurezza e controllo. Grazie alla ripetuta rappresentazione ludica delle situazioni angoscianti il bambino riesce a “digerirle” e superarle.
Il gioco per i bambini è un attività evolutiva e terapeutica, nessun gioco libero è una perdita di tempo! Lasciamo ai nostri figli il tempo di giocare, senza regole, o meglio secondo le loro regole e, quando possiamo, affianchiamoci a loro. Li conosceremo meglio e li aiuteremo a crescere.
Psicologa Psicoterapeuta Acilia (Ostia, Infernetto, Casal Palocco-Axa) e Corso Trieste, Roma.
Bibliografia
Ciccone A. (2019), La psicoanalisi a prova di bambino, Alpes, Roma.
Galimberti U. (1999), Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Torino.